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DEL NARRARE

 
 

Solo da ciò che appare perfettamente chiaro,

tangibile, può discendere l'alta virtù del mistero

Hugo von Hofmanstal


"Non per i concetti passa la verità, ma per la commozione

Boezio



L'origine

Forse il primo desiderio è stato questo: ritrovare con lo spettatore (l’ipotetico Altro) un rapporto viscerale.

Perché ciò che è vero, non è vero mai in astratto, ma nasce sempre da un rapporto, da una relazione. La relazione per me è tutto. Fuori della relazione credo  non sia possibile alcuna verità.

E stabilire una relazione è per me entrare in un campo magnetico in cui chi crea “sente” chi ascolta. Quelle che seguono sono alcune tracce teoriche, qualche principio fondatore o riferimento guida, che ispirano il mio percorso.

 

Sulla ricerca del linguaggio

“Lo scrittore troppo conscio, troppo compenetrato della propria superiorità sullo strumento, a forza di usarlo e maneggiarlo con virtuosismo, spossessa il linguaggio di ogni mistero e di ogni vigore. Ora il linguaggio deve resistere; se cede, se si piega completamente ai capricci di un prestigiatore, si risolve in una serie di idee brillanti e di piroette, in cui trionfa su se stesso fino all’annullamento...

La poesia è minacciata quando i poeti dimostrano un interesse teorico troppo vivo per il linguaggio e ne fanno un argomento costante di meditazione... L’ossessione del linguaggio non è mai stata così virulenta, e così sterilizzante, come oggi...

Chi crea dovrebbe guardarsi bene dal riflettere troppo sul linguaggio, ed evitare di farne ad ogni costo l’oggetto delle sue ossessioni... e non dimentichi che le opere più importanti, sono state fatte a dispetto del linguaggio. Dante era assillato da quello che aveva da dire, non dal dire” (Cioran)




Del narrare

Cardine del mio lavoro è quello di narrare storie.

In nome della modernità, il secolo scorso portava con sé alcuni divieti, alcuni cruciali rifiuti. In nome della modernità il Narrare era diventato tabù, gesto superato. Ma tutto questo appartiene ormai al passato. Perché si può considerare superata un’estetica, uno stile, non un organo della conoscenza.

Narrare è un modo per accedere alla conoscenza di cose - nel mondo e in noi - che non sono accessibili altrimenti. C’è una sfera della vita che resta irriducibile alla parola logica, ma si può avvistare solo attraverso il prisma della parola narrante. E’ la nostra parte abissale, l’estensione profonda della vita da cui sgorgano le forze che presiedono ai nostri comportamenti quotidiani, e che non si lascia portare a concetto ma che contiene comunque la nostra esistenza.

 

E da sempre ognuno cerca l’incontro con storie da cui sentirsi narrato: perché da questo dipende il nostro accesso al reale. L’uomo concreto vive circondato, avviluppato dentro un tessuto vibrante di storie. Maneggiando energia archetipica le storie ci crescono, ci orientano. Possono disorientarci, ma possono anche guarirci. Gli psicoterapeuti lo sanno da sempre. E l’idea di un disincanto dell’uomo moderno riguardo alle storie è solo una storia ulteriore. Comunque narrare, fra l’altro, non significa necessariamente raccontare-una-storia. Pina Bausch ad esempio, rappresenta per me uno fra i più grandi narratori del novecento.


“E’ vero che la narrazione rivela il significato senza commettere l’errore di definirlo, che determina l’accettazione e la riconciliazione con le cose per quello che sono realmente...” (Hannah Arendt)

 

Gli archetipi

Sono figure archetipiche i personaggi che abitano le storie che amo narrare, ispirate a volte da suggestioni letterarie, più spesso rubate al cinema, a quell’arte che appare come l’ultima metamorfosi dell’antico narratore orale...

Ma, mettersi in contatto con un archetipo, è già mettersi in contatto con delle possibili strutture. Gli archetipi infatti, sono energia plastica generativa e agiscono su due piani: sono plessi emotivi, campi di energia psichica, ma anche categorie mentali, unità di misura. La grande scoperta di Pitagora fu questo nesso: una data melodia, ovvero un sentimento espresso in un seguito temporale di suoni, risponde ad una certa proporzione nello spazio.


 


E nel nostro caso, mettersi in contatto con un archetipo è mettersi in contatto con un carattere, con un temperamento, con un ritmo, un timbro, una nota, un suono, con un disegno nello spazio, con una direzione nello spazio, con una parte del corpo, con un movimento del corpo, con un colore, con una forma, con un destino... cercando di rintracciare ogni volta l’ordine in cui tutto questo va necessariamente e non arbitrariamente concatenato

“Suoni, colori, forme... evocano sentimenti ineffabili eppure precisi” (W. B. Yeats)

Il teatro delle marionette è un’altra, costante fonte di ispirazione, come indicazione alla creazione di personaggi privi di coscienza, attraversati dalla grazia naturale dell’inconsapevolezza.

“Essa (la marionetta) non farebbe mai movimenti affettati. L’affettazione appare quando l’anima si trovi in qualche altro punto che nel centro di gravità del movimento... Simili errori sono inevitabili dal giorno che abbiamo gustato all’albero della conoscenza” (Kleist “Il teatro delle marionette”)

Ne scaturisce una microdrammaturgia del movimento che ha come carattere distintivo una forte frontalità, una tendenza alla bidimensionalità, una chiarezza estrema del disegno e, riguardo alla struttura compositiva complessiva, un’attitudine geometrica nella configurazione dello spazio. Ma tale attitudine non è che l’approdo di un’indagine degli impulsi emotivi primari e dei movimenti “autentici” in cui si incarnano. Dunque, una geometria delle passioni.


Il processo creativo

I punti di partenza da cui scaturisce il mio cammino verso la creazione di uno spettacolo sono essenzialmente due: il primo è il rapporto intimo con gli interpreti e il disvelamento, attraverso l’improvvisazione, dei loro “caratteri”, delle loro energie fondamentali; il secondo è l’ascolto teso. Il silenzio vibra, la vibrazione assume un ritmo, diventa un intersecarsi di ritmi. 

Avviene così il ritrovamento della musica, la scoperta che prima delle immagini e delle parole viene il ritmo, che.la musica assume forme visibili e “contiene” già il testo, Occorre dunque lasciarsi attraversare dai ritmi, dalle vibrazioni che dalla musica “ritrovata” emergono, e lasciare che questi colmino la mente fino a sentir fluire, dal proprio intimo, le parole che rivestono i ritmi.

I testi che ne scaturiscono (sorta di ballate) tendono alla suggestione essenziale, nella speranza di 


“creare la sensazione degli archetipi come banchi di nuvole trascorrenti sugli intrecci della vita” (Henry James).


Dunque: lo spettacolo nasce dalla musica. Dall’ascolto ripetuto della musica nascono i testi. I testi vengono ordinati 

come voci dei personaggi. I personaggi sono modificati sul filo di un rapporto di intimità che si stabilisce lavorando con gli interpreti. Dalla congiunzione tra testo e improvvisazione degli interpreti, nascono movimento e configurazione dello spazio.

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