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POESIA DELLA DANZA

LA MIA RICERCA  SUL MOVIMENTO E LA DANZA: RIFLESSIONI OBBIETTIVI PROPOSTE OPERATIVE


 

I MAESTRI

Ho imparato nella mia vita a riconoscere l’importanza dei maestri, a rintracciare nella loro ricerca il senso della mia, per dare fondamento pratico, teorico e filosofico al mio percorso; a ricorrervi per portare a coscienza i processi creativi che mi avevano guidato istintivamente, per crescere, rinnovarsi, uscire da momenti di impasse approfondendo quella visione in cui il proprio discorso è inserito. Credo sia fondamentale essere provvisti di una visione capace di dare direzione, coerenza e sostanza alla propria ricerca, una visione chiara da poter trasmettere in un processo educativo.

E i maestri incontrati in sala o in letture appassionanti, quelli a cui devo la mia formazione, raccontano la danza come esperienza profonda del sé.

Nella visione radicale di Laban, per esempio, la danza è rivelazione di quella vita interiore, di quell’essenza e forma originaria che è fondamento dell’esistenza, espressione suprema dell’essere umano, forma esteriore di movimenti interiori.

In un’accezione più ampia, il movimento è elemento primario della vita dell’intero universo, manifestazione fisica di movimenti della psiche. È di questa visione poi la coscienza del potere stimolante che il movimento esercita sulle attività della mente, dunque di una danza che ha la forza di sollecitare percorsi formativi, strumento di conoscenza di sé e di conseguenza di miglioramento delle proprie possibilità espressive. È questa la danza che è sempre stata necessità esistenziale nella mia vita.



 

IL RITMO, PRINCIPIO ORDINATORE

Da questa visione, la decisione di focalizzare l’attenzione, nel processo educativo riguardo alla creazione, su quei principi universali che Laban ha individuato essere sottesi ad ogni manifestazione del movimento umano Il corpo, lo spazio, la dinamica, le relazioni; di partire, nel lavoro con gli allievi, dal bagaglio tecnico (ed intendo per tecnica qualsiasi tecnica di movimento) di cui sono già provvisti, ma con l’obbiettivo di “aprirlo”, destrutturarlo, scomporlo, metterlo al servizio di quegli impulsi primari liberati dalla profondità del proprio essere; fino a che il “mondo silenzioso” dell'azione simbolica possa essere rivelato, con la massima chiarezza, in un linguaggio personale, unico.

È sempre sorprendente assistere alla trasformazione di un codice acquisito con lo studio di una qualsivoglia tecnica, in un vocabolario, in una sintassi che di quel codice conserva solo un indistinto tracciato. Dunque la tecnica come appoggio alla possibilità di trasformare il corpo che “si ha” nel corpo che “si è” ( Janet Adler, “Il corpo cosciente”)


I principali elementi strutturali della danza dunque, esplorati considerandone la loro indivisibile complementarietà, ma concentrando maggiormente la ricerca sugli aspetti concernenti la dinamica, ovvero sugli aspetti qualitativi dell’energia del danzatore. E della dinamica,  in modo più specifico, sul ritmo. Il ritmo che consente alle idee, alle emozioni e alle sensazioni, di manifestarsi “in una forma appropriata” e di esplorare il dominio del movimento. Il ritmo che partecipa di ogni elemento dell’esperienza motoria, umana, ne è il fulcro e il fondamento, garanzia della sua forza espressiva, fondamentale qualità metacinetica.

Questa visione del ritmo, che apparenta i padri della scena moderna, quel pensiero che vede nel ritmo la parte più profonda della vita spirituale, è stato sempre, prima inconsapevolmente poi in maniera sempre più conscia, il punto di partenza e il principio ordinatore alla base di ogni mia ricerca. 

Nella mia esperienza di insegnamento poi, il ritmo si è rivelato il principale strumento di conoscenza, il più potente generatore di forme, il re dei principi ordinatori.

È sempre stato il lavoro sul ritmo, la potenza di questa forza misteriosa, questa qualità intrinseca dell’azione organica a generare la trasformazione più significativa nell’elaborazione di un personale bagaglio espressivo

Perché il ritmo musicale non è un fenomeno puramente intellettuale, ci dice l’etnomusicologo Marius Schneider, bensì una forza psicofisica che trasforma movimenti corporali in esperienza psichica e, viceversa, fornisce un contrappeso corporale alla sensibilità spirituale.

L’assunto che presiede a questo percorso creativo, è che quella “forza psicofisica” che trasforma i movimenti corporali in esperienza psichica e viceversa sia talmente potente, talmente ricca del “ricordo” di tutte le forme, da poter generare, se sapientemente risvegliata, la totalità delle strutture compositive possibili.

 

Come se il corpo “rimembrato” fosse di per sé portatore di un’esperienza, che non è solo la propria, ma che partecipa della memoria del movimento dell’intero universo.

I percorsi di ricerca che adotteremo avranno allora come obbiettivo di rendere fertile questo elemento, per essere in grado di far fiorire “le forme appropriate”, le strutture significanti.

Sempre riferendoci a Laban allora assumeremo interamente la proposizione che “è la vivacità dinamica a produrre la forma”.

 

IL LABORATORIO

Il lavoro che propongo presenta principalmente due momenti: il primo comporta proposte di più processi per approdare all’elaborazione di un vocabolario personale; saranno processi che si useranno alternativamente o in sequenza. Il tempo in cui è distribuito il lavoro, così come la valutazione del tipo di esperienza di cui gli allievi sono in possesso, determinerà di volta in volta la scelta del percorso appropriato fra i seguenti processi:

A) Come fonte di ispirazione verso un lavoro di composizione coreografica, prenderemo in prestito alcuni suggerimenti e modalità del movimento autentico, per accedere al movimento proprio di ciascuno degli allievi, per riportare in superficie memorie corporee non direttamente accessibili al verbale. Saranno percorsi ad occhi bendati in cui non vengono indicati movimenti da fare ma in cui semplicemente si invita ad attendere che dal proprio interno nasca l’impulso al movimento, per acuire l’ascolto interiore, tornare a scoprire il proprio corpo dall’interno, rivelare aspetti profondi della personalità, liberare l’energia emotiva. A partire da tutto questo, si useranno stimoli appropriati (dalle parole alla musica a varie proposte dinamiche) per generare “parole” di movimento.

B) Faremo esplorazione intorno ai concetti di corpo, spazio, dinamica e relazioni.

C) Useremo respiro, suono, parole per trovare da dentro i ritmi dinamici in grado di produrre una forma.

Il secondo momento sarà dedicato a percorsi di composizione: una volta in possesso di un proprio vocabolario personale, ci serviremo di alcuni principi di organizzazione, suddivisi in tre grandi aree: ripetizione – cambiamento (con le molteplici articolazioni di variazione, trasformazione, contrasto, imitazione, uguale-diverso ecc); sfondo - primo piano (per rispondere alla domanda “dove indirizziamo l’attenzione?” E questo non ha a che fare necessariamente con lo spazio); testo – contesto.

Approderemo così a brevi composizioni coreografiche (soli, duetti, terzetti, gruppi, tutto il gruppo).

Ma in questo cammino non perderemo mai di vista il fulcro dei vari punti sopra delineati: il lavoro non consiste nell’imparare a comporre secondo alcune tecniche o principi, bensì nel disporsi a svelare, a riconoscere secondo parametri comuni o concetti universali, la misteriosa complessità del mondo interiore. Un mondo già potenzialmente dotato di ogni paradigma, di ogni archetipica dimensione strutturale. 


 

OBBIETTIVI

 

Poesia della danza

Abbiamo già ampiamente parlato di uno degli obbiettivi principali di questo laboratorio nei paragrafi precedenti: la scoperta di un linguaggio personale unico, incarnazione visibile della dimensione interiore, e, non meno importante, del raffinarsi grazie a questo percorso, delle propria vivacità mentale, intuitiva, conoscenza di sé e miglioramento delle proprie possibilità espressive.


Il secondo obbiettivo è quello di approfondire a quale tipo di danza mira questo percorso.

C’è alla base del mio cammino, la ricerca dell’origine narrativa del movimento, del “racconto”, attraverso la danza, di quegli universi personali interiori di cui abbiamo parlato, di quella dimensione originaria dell’essere in grado di entrare visceralmente in contatto con lo spettatore.

Continuo ad interrogarmi sul come fare per accedere a quel campo magnetico in cui chi crea “sente” chi ascolta e viceversa, convinta che non esista alcun gesto senza la relazione con l’altro.



Diciamo allora che cercheremo di approdare a quella danza capace di evocare queste risonanze, capace di divenire la forma visibile di queste rifrazioni, capace di farsi interprete, incarnazione, forma visibile di quella vibrazione pre-verbale che diventa ritmo, ritmo dello spazio, ritmo del tempo, ritmo del peso, e più precisamente, secondo l’idea goethiana di simbolo, “rivelazione vivida e istantanea dell’imperscrutabile”.

È di questo imperscrutabile dunque che siamo alla ricerca, di queste risonanze, di queste rifrazioni, capaci di farci percepire l’archetipo, l’essenza sottesa ad ogni piano dell’essere.

La ricerca sarà allora quella di una “narrazione” che riveli il significato senza commettere l’errore di definirlo, perché per farsi tramite di un archetipo, la poesia deve essere composta dalle rifrazioni delle parole più che dalle parole stesse.

Le stesse risonanze, le stesse rifrazioni che corrispondono alle emanazioni provenienti da quella “terra del silenzio” di cui parlava Laban, a quell’indicibile, proveniente da questo mondo, che solo le azioni corporee sono in grado di evocare.


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